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Intervista a “Rocksound” n°82 Marzo La tessera mancante Dopo un primo album avventuroso ma, in qualche modo, ancora legato ad una concezione più ordinaria di fare musica, i Mars Volta tornano con un disco molto più ambizioso, “Frances the mute”. Cedric Bixler-Zavala ci spiega la genesi di un’opera che si candida immediatamente ad essere uno dei migliori lavori di quest’anno in corso.
C’eravamo già incontrati io e Cedric, in occasione della promozione di “De-loused in the comatorium”, all’Independent Days di Bologna del 2003. Dopo le domande di rito sul disco, eravamo finiti a parlare del registra Alejandro Jodorowsky, per cui lui e Omar Rodriguez Lopez, l’altra metà creativa dei Mars Volta, hanno una venerazione fanatica. Gli chiedo se siano finalmente riusciti ad incontrarlo. “Omar ha scoperto il suo indirizzo ed è stato un giorno intero ad aspettarlo fuori da casa sua e parlargli. Jodorowsky non si è fatto vedere e allora gli ha lasciato un biglietto sulla porta ringraziandolo per l’ispirazione e spiegandogli che i Mars Volta sarebbero stati onorati di poter lavorare con lui in qualche maniera. Purtroppo non l’abbiamo sentito mai, forse è troppo occupato per trovare il tempo per noi (ride)”. Chissà perché mi vengono in mente le fan scatenate degli U2 che vanno a Dublino e aspettano impazientemente di vedere uscire di casa Bono e The Edge. Cedric ride “Sì, in effetti Omar ha fatto una cosa del genere. In fondo noi siamo veramente fan di Jodorowsky… Chissà magari un giorno riusciremo a contattarlo in qualche altra maniera…”.
Le notizie sul vostro disco si sono succedute in maniera incontrollabile, soprattutto per quel che riguarda il tema portante di “Frances the Mute”. L’ultima racconta che l’album trae inspirazione da un diario trovato casualmente da Jeremy (un membro della band deceduto lo scorso anno) in una macchina. Cosa c’è di vero? Cedric Bixler-Zavala: Questa cosa è assolutamente vera, ma non è l’unica fonte di inspirazione per il lavoro; il diario ha rappresentato la base su cui abbiamo costruito tutto il resto. Per “Frances the mute” siamo stati inspirati anche da “The wicker man” (film thriller/horror di culto di Robin Hardy del 1973 con Christopher Lee e Edward Woodward – nda), dalle opere erotiche di Max Ernst ( celebre pittore surrealista del Novecento – nda), da alcuni sogni che ho fatto e che abbiamo usato nei videoclip. “The Widow” per esempio, trae ispirazione da un mio ricordo di gioventù: mia madre cercava disperatamente di farmi andare in chiesa e per fare ciò mi disse che aveva visto il diavolo in persona. Me lo descrisse: capelli lunghi, un impermeabile nero, senza volto e con delle zampe di gallina al posto dei piedi. Questa immagine è rimasta con me per tutta la vita; io non credo in Dio ma voglio credere in un diavolo dipinto a questo modo! Alla fine, tutte queste tessere si sono unite in un mosaico che ci ha fornito l’ispirazione per il disco: il fatto che Jeremy abbia trovato quel diario, che sia morto qualche tempo dopo, che la storia in esso contenuta presentasse delle somiglianze con la sua. Siccome quel diario era incompleto – Jeremy aveva deciso di finirlo per conto proprio, di inventarsi una storia che proseguisse. Non c’è riuscito e l’abbiamo fatto noi al posto suo ma con una nostra versione. Come avete fatto a mischiare tutto questo materiale e renderlo più scorrevole e logico? C.B.Z.: è molto più semplice porsi delle domande che dare delle risposte e così abbiamo fatto pure noi. Siamo interessati alle soluzioni che ci possono arrivare dall’esterno e consideriamo questo disco come un enorme puzzle: noi forniamo delle tessere, ma ci possono essere diversi modi di interpretarle. Il personaggio della storia è stato adottato e deve andare alla ricerca delle proprie radici, scoprire chi sono i suoi veri genitori, ricostruire la sua vita… in pratica, anche lui ha a disposizione delle tessere e deve sistemarle nella maniera più consona.
CHIAVI DI LETTURA Avete già avuto delle interpretazioni di questo puzzle da parte di vostri amici? Qualcosa che vi abbia stimolato particolarmente? C.B.Z.: Assolutamente si. Alcuni hanno fornito delle chiavi di lettura molto interessanti, ma la verità è che non esiste una soluzione, non è un giallo in cui devi indovinare il colpevole o l’assassino. Tutte quante sono valide se supportate da una buona idea di base. Questa storia non ha un finale, è interattiva, deve offrire validi argomenti di discussione; a noi capita spesso di dibattere per ore sul possibile significato di un film. Prendi “La montagna sacra” tanto per parlare di Jodorowsky: quel finale in cui il regista svela la macchina da presa e il set, facendo crollare la storia e mostrando la finzione del cinema. Perché l’ha fatto? Cosa voleva dimostrare? Se ne potrebbe discutere all’infinito e ogni teoria sarebbe valida. Vedo che il cinema sta diventando sempre più importante per i Mars Volta… C.B.Z.: Assieme alla musica è la nostra passione principale e sono due espressioni artistiche che spesso si completano. Omar ha diretto il nostro nuovo video, si sta cimentando in questa nuova direzione con risultati eccellenti, devo dire. Mi fido ciecamente di lui: ha prodotto l’album ed era il più indicato per trasformare in immagini le parole che ho scritto io. In futuro sarebbe bello poter fare uscire contemporaneamente un disco e un film collegati tra loro ma sappiamo che è un progetto di difficile realizzazione, soprattutto a livello di costi. Prima o poi però sarà possibile farlo, ne siamo certi. Prima dovete diventare famosissimi… C.B.Z.: Lo sappiamo. Così poi potremo girare il nostro “200 motels” (ride) (film scritto da Frank Zappa nel 1971, una specie di racconto della vita “on the road” dei Mothers Of Inventino, la sua band. Fu un flop disastroso – nda). E’ incredibile pensare che qualcuno gli abbia davvero dato i soldi per girare quel film. Ora non sarebbe possibile e poi noi non abbiamo qualcuno come Ringo Starr che ci sponsorizzi, come fece con Zappa. Non credi che una major come la Universal sarebbe interessata a un progetto simile? C.B.Z.: Chi lo sa? Forse ma non ne siamo così certi. Abbiamo un rapporto molto chiaro con loro: quando ci hanno proposto un contratto, lo abbiamo preso e riscritto completamente secondo i nostri parametri. Hanno accettato tutte le condizioni che abbiamo inserito, pensiamo di avere controllo totale della nostra carriera e della musica. A questo aggiungi che abbiamo delle aspettative molto basse, siamo felici di quello che ci accade ma non facciamo chissà quali illusioni. In futuro, grazie al lavoro dell’etichetta, magari avremo la possibilità di suonare in Russia oppure in Asia e speriamo che succeda. Nella vita, non tutti hanno la fortuna di essere i Fugazi, che si costruiscono una carriera in completa indipendenza. Certe volte funziona, certe altre no…Loro possono contare su un etichetta personale come la Dischord che ha pubblicato alcuni dischi che sono dei best seller, vedi Minor Threat e questo rappresenta una forma di guadagno continua. Hanno il mio massimo rispetto.
SENZA VOLTO Per la copertina e l’aspetto grafico, vi siete affidati nuovamente a Storm Torgheson, famoso per i suoi lavori con i Pink Floyd. Gli avete spedito il disco ultimato, gli avete raccontato la storia a grandi linee o che altro? C.B.Z.: Gli abbiamo spiegato la storia, gli abbiamo spedito qualche pezzo e le illustrazioni di Max Ernst di cui parlavamo prima. Ha prodotto una serie di possibili copertine, attenendosi alla propria ispirazione e a quella teoria del tassello mancante che sta alla base di tutto il lavoro. Le due persone che guidano la macchina sono senza volto, come puoi ben vedere… Vi ha mandato subito quella copertina? C.B.Z.: Ne ha spedite parecchie, le abbiamo sistemate sul tavolo da ping pong che avevamo nello studio di registrazione e le abbiamo mostrate ad alcuni amici. Hanno cominciato a commentarle dicendo che erano tutte buone. Quella con i due personaggi che guidano senza volto l’hanno trovata davvero bizzarra… abbiamo capito subito che era quella giusta (ride). Come si è svolto il lavoro in studio? C.B.Z: E’ stato un confronto tra me e Omar, che siamo gli unici due compositori. Non ci devono essere troppi cuochi in una cucina, sennò i piatti vengono male, lo dice anche un proverbio. I ragazzi della band suonano con noi, ma non hanno voce in capitolo per quel che riguarda la fase compositiva. Non credo nella democrazia in studio, ma hanno la completa libertà quando si tratta delle esibizioni dal vivo, in cui l’improvvisazione gioca un ruolo fondamentale. Incidere un disco è un atto di fede e io mi fido ciecamente di Omar, non potrebbe essere altrimenti e lui fa lo stesso con me. Se ci pensi, anche i musicisti fanno parte del tassello mancante, perché non erano a conoscenza delle parti che avrebbero dovuto suonare, né di come si stesse evolvendo il disco mentre non erano in studio. “Cassandra Gemini”, il brano da oltre trenta minuti che chiude l’album, ha solamente una struttura di base su cui abbiamo effettuato una jam session lunghissima. Omar ha poi montato il risultato da solo assieme a me e al tecnico del suono. E’ stato un lavoro complicato e doloroso ma alla fine abbiamo davvero avvertito un senso di sollievo. Siamo certi di aver fatto il massimo possibile… Prima parlavi di fede… Ti capita mai di interferire con la musica creata da Omar e lui di fare lo stesso con te per quel che riguarda le liriche? C.B.Z.: Succedeva più con gli At The Drive-In, ma perché all’epoca i pezzi erano un affare di tutta la band. Ora i compiti sono ben suddivisi e nessuno interferisce. Omar è maturato in maniera impressionante cime musicista e compositore e davvero non saprei che appunti fargli (sorride). L’ultima volta che avete suonato a Milano, avete fatto tutti i pezzi del disco tranne “Inertiatic ESP”. Mi fa ridere perché il pubblico aspettava solo quello… C.B.Z.: (ride) Lo facciamo spesso. Il pubblico non deve aspettarsi nulla di predefinito dai Mars Volta. Siamo musicisti, non intrattenitori. Non saltiamo a comando. Non facciamo pezzi perchè dobbiamo farli, non siamo interessati a questo genere di cose. Questo è uno dei motivi per cui cerchiamo di stare alla larga da cose come il Warped Tour, per esempio, dove le band sono uniformate secondo una logica ben precisa. Il tour che stiamo per intraprendere qui in Europa sarà un’incognita, non proporremo l’album per intero perché abbiamo ancora difficoltà a suonare tutti i pezzi. Dobbiamo impararli in maniera perfetta e non è una cosa così semplice, come puoi ben immaginare… Sembra che facciate di tutto per stare alla larga dal successo, oppure che ne abbiate una concezione molto particolare… C.B.Z.: Vogliamo avere successo, ma a modo nostro. Non siamo la tipica indie band che non vede l’ora di firmare un contratto discografico e diventare famosa. Bisogna avere una forte etica lavorativa quando si è in questo campo e la maggior parte dei gruppi, al giorno d’oggi, non la possiede. Se è vero che le major sono dei vampiri, allora le etichette indipendenti sono dei lupi mannari. Sono entrambi dei mostri, non c’è differenza. Che tu abbia un ufficio in città centro o che tu lavori in camera tua, i fini sono gli stessi, cioè vendere dischi e far conoscere i tuoi gruppi. E’ solo questione di apparenza
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