THE MARS VOLTA ITALIA forum: "In Thirteen Seconds"

Ten Years Of ATP Festival - 11-12-13/12/2009, Butlin's Holiday Centre, Minehead, UK, The Mars Volta confermati

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CAT_IMG Posted on 18/12/2009, 03:12

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Ice Cream, che pezzooooooooo! :D



mai sudata una t-shirt in così poco tempo, questo era il bis praticamente, 5 minuti di pura vita!
 
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CAT_IMG Posted on 24/12/2009, 18:19

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eccovi, ordunque, un diario di quei giorni.

data zero_10/12_Road To Bristol:

s'inizia subito con un bel thrilling, con il mio fido sgherro e la sua dolce metà che riescono ad arrivare all'aeroporto 5 minuti prima della chiusura del check in (e io ce ne avevo messi "solo" 50 in bus dalla stazione Anagnina, viva i trasporti). Ma tant'é. Si vola a Bristol e della capitale del trip hop vedremo, nell'ordine: la stazione di Temple Meads, ospiti di una festa vip di cui uno degli ci aggancerà per strada chiedendoci se avessimo bisogno d'aiuto e indicandoci la via. Col GPS del suo cell - a giudicar dal suo alito, "sembra sia andata a fuoco una distilleria!" disse un profeta, dubito sarebbe stato in grado anche solo di dirci che eravam già sulla strada giusta -, il nostro ostello, praticamente sull'Avon o su uno dei suoi canali, non so, una certa movida nella zona vicina al nostro ostello, luogo deputato al divertimento giovanile notturno e, usanza bizzarra, a gare di brivido rigorosamente femminili, con donzelle ornate di pochi centimetri di stoffa pur in tal freddo, intente a pronunciare internazionalissimi "BRRRRR!". Dopo aver pasteggiato con un tipico kebab inglese, con colonna sonora di urla di giovincelli inebetiti dalla disco all'ultimo piano dell'edificio adiacente e con spettacolo di giovane sbronza che non esita a inzupparsi d'acqua in una fontana (sempre con suddetto tipico clima tuttaltro che caldo), ci si...aggiusta un pò e si torna nel confortevole ostello, per godersi un pò di sonno in attesa del gran giorno.



data uno_11/12_Road To Taunton_Road To Minhead_ATP day 1:

nonostante la sveglia in orario e 15 placidi minuti a piedi, bagagli al seguito, per raggiungere nuovamente Temple Meads, riusciamo a perdere il treno per Taunton. Poco male, attesa di un'ora gustandoci una certa bevanda calda scura assimilibale ad acqua aromatizzata al caffé e poi domandoci dove poter gettare il contenitore di tal bevanda. Senza trovar risposta. Si va a Taunton, gita di un'oretta che scorre veloce. Tutto ciò che ci resterà di tal posto sarà la stazione, dove aspettiamo il bus per Minehead. Che giunge in orario. Altra gita di un'ora e mezza nella campagna inglese del sud ovest ed eccoci a Minehead. La cittadina, per quanto è possibili vedere dal lungomare, pare arroccata sulla scogliera come una piccola Amalfi albionica. Il bus, però, si ferma direttamente al Butlin's Holiday Centre, uno dei tre villaggi ancora esistenti tra quelli che un certo signor Butlin fece edificare in varie località di mare dell'Inghilterra dal secondo dopoguerra per permettere agli inglesi, appena usciti dal conflitto, di far vacanze economiche. Pochissimi minuti per effettuare il check in. Il prode Massimo torna con tutto l'occorrente per entrare nella sede del festival. Appreso che il nostro chalet dista circa 10 minuti a piedi dall'ingresso, decidiamo di usufruire del pittoresco trenino gratuito che porta gli ospiti ai rispettivi chalet.

Il nostro appartamento è bello e confortevole, decisamente meglio di quello al Pontin's di Camber Sands della nostra (mia e di Massimo) precedente esperienza ATePpistca: due camere doppie, bagno con doccia, cucina con tutto il necessario (anche il microonde) con ampia living room. Tanto per non saper né leggere né scrivere, decidiamo che quella porta in mezzo al corridoio che si chiude da sola ci dà fastidio e proviamo a ingegnarci per mantenerla aperta. Dì li a poco, prima di sera, il meccanismo per la chiusura automatica cede da solo e un tale Arthur ce lo sistemerà il giorno dopo, spiegandoci che è una misura di sicurezza in quanto permette a tal porta tagliafuoco di impedire che un incendio si estenda a tutto lo chalet. Suppongo una conseguenza dell'incendio che, come apprendrò dalla guida, Kelly Deal (sorella di Kim di Pixies e Breeders e nei Breeders lei stessa) aveva causato nel suo chalet durante un ATP di qualche anno prima.

Approfitto dell'arrivo della mia amica Patrycja, quarto componente del nostro chalet, per fare un primo giro della struttura: noto giochi perlopiù per bambini e mi colpisce soprattutto la piscina coperta (che, dal vapore acqueo sui vetri, direi riscaldatissima e perfettamente funzionante) dalla cui struttura partono e rientrano grossi tubi. Un acquascivolo al coperto, praticamente. Maledico il non avere un costume e, soprattutto, il dover prendere per almeno altri due giorni antibiotici senza i quali, tuttavia, probabilmente, sarei in un italico letto a smadonnare in aramaico antico. Prelevo Patrycja e l'accompagno al nostro chalet. Ne approfittiamo finalmente per rilassarci un pò, fare un lauto pasto, finalmente. E aggiustarci ancora, il che non fa mai male.

Il nostro festival, dal lato musicale della questione, inizia con il set di Stephen Malkmus 6 The Jicks. Pessimo, ripetitivo. Poi ti chiedi perché le band (nel caso i Pavement) si riuniscano. Si cambia stage, c'è J Mascis dei Dinosaur Jr. con il suo progetto parallelo The Fog. Non male, tuttavia. Niente di nuovo ma almeno una bella botta per iniziare davvero. Si ritorna al palco principale, quello del Pavilion e cominciamo a prender un pò la mano con uno stage piazzato in un ampio spazio, questo si, ma attorniato da pub, birrerie, bar, pizza Hut, Burger King, stand merchandising e, sul lato opposto al palco, videogiochi, tanti. Sarà la suggestione ma spesso, durante gli show, mi è parso di sentire il rumore del dischetto da hockeytavolo, percosso da chissà chi impegnato in quale infuocato unocontrouno. Tocca agli Yeah Yeah Yeahs e benché personalmente conosca bene solo il primo disco e il resto l'abbia trascurato, son curioso di vedere all'opera Karen O e soci. Che non deludono le aspettative, tutto sommato. Anche perchè. guarda caso, ripropongono per intero, durante il loro set, tutto "Fever To Tell". Karen O si rovescia un paio di bottiglie di champagne addosso ancor prima di iniziare, salta, strepita, si contorce col cavo del microfono appresso. Raramente ho visto una performer di tal carica e foga. Alla lunga, però, la musica degli YYY, per quanto la consiglierei vivamente per qualunque party, mi sembra mostri un pò la corda della ripetitività. Di certo, però, è un ottimo show per il primo giorno del festival (anche se, a onor del vero, la programmazione musicale odierna è scarsina in termini di numero di esibizioni). Ci spostiamo al secondo stage per i Mùm ma io ho seri problemi, eccezion fatta per Bjork, con la musica islandese. Dopo due pezzi mi han già ammorbato. Ce ne torniamo allo chalet per un pò di pausa. Ritorniamo al secondo stage un paio d'ore dopo per i Tortoise (la disputa sulla pronuncia del nome sarà uno dei nostri leit motiv della trasferta all'ATP, a risolverla nientemeno che Ikey Owens, magari lo sapete già ma è "Tòrtois", non "Tortuase" né "Tortòis" come invece pensavamo rispettivamente Massimo e io). Tecnicamente alieni, autori di fini trame post/progressive, pagano tuttavia l'esser inseriti nello schedule all'una di notte e benché il pubblico inglese si dimostri attenti, ricettivo e rispettoso verso gli artisti ben più che gli italiani, è inevitabile che la sala sia dominata da un certo brusio di gente più interessata a bere una birra e a chiacchierare. E, ovviamente, la loro musica cervellotica non aiuta. Ma ricevono ovvi e meritati applausi. Il primo giorno si chiude qui.



data due_12/12_ATP day 2:

Il secondo giorno presenta lo schedule più fitto, s'inizia già all'una e mezza, riusciamo a svegliarci per mezzogiorno in modo da fare in tempo per l'inizio degli show. Approfittandone di un passaggio al supermercato, vengo travolto dal soundcheck delle Afrirampo e decido che non posso perdermele. Dò un'occhiata ai Papa M (band di David Pajo già Slint) ma le trame chitarristiche un pò ripetitive di due sole chitarre elettriche mi invitano a desistere, tornare allo chalet per lasciare gli acquisti (la prossima estate, se vi capitasse di vedere su qualche spiaggia italiana, un paio di persone con asciugamani rossi con la scritta "Butlin's" salutateli) e uscire di nuovo per le Afrirampo.

Le due giapponesine, pazze come altre band japanoise, sembrano un pò eredi agli occhi a mandorla dei Lightning Bolt, incrociate con le connazionali Nissennenmondai. Urlano come invasate, dimostrano ottime doti tecniche, soprattutto la batterista, e non si può non amarle per il loro inglese stentato con cui cercano di dialogare con il pubblico, perlopiù scherzando sul loro merchandising -di cui mi pento di non aver preso nulla - e a cui il pubblico risponde imperterrito con applausi e ovazioni. Uno tra i migliori set del festival di certo e una delle due sorprese/novità per il sottoscritto. Un breve giro al secondo stage per testare le qualità live del duo Cisneros/Amos aka OM, ottimo duo in odore di doom, mi convincono a dar più di un ascolto al loro "God Is Good". Rimaniamo sul secondo stage perché stanno per iniziale gli Shellac e, personalmente, attendo moltissimo questo show, sono una delle mie band preferite e ho gran voglia di rivederli dopo il convulso show al Circolo Artisti del 2007. Steve Albini, Bob Weston e Todd Trainer piacciono e acchiappano essendo semplicemente sé stessi, non impongono mode o sonorità sconvolgenti, sono fondamentalmente punk, con la loro etica, la loro credibilità ed è un piacere sentire quell'affilatissima chitarra di Albini che dio solo sa quanto vorrei capire come tirar fuori quel suono da una 6 corde. E il basso basicissimo di Bob Weston e la batteria metronomica di Trainer. E i loro proiettili come "My Black Ass" e "In A Minute". E i momenti di cazzonaggine quando accettano domande dal pubblico: Do you ever overmasturbate cause you're so awesome?!", Do you like stupid questions?, Tell us a thing you really dislike!. "Lavorare sui dischi di Steve Albini" risponderà Bob (Whaaat?!). Il gigioneggiante Trainer che ne va col rullante in giro per il palco, suonandolo davanti alle luci. E Albini che, alla fine di tutto, ha anche un regalo per un fan: "Qualcuno di voi mi ha scritto chiedendomi se potevo portargli all'ATP una bottiglia di questo liquore che si fa a Chicago. L'ho portata! Non che io faccia sempre questi piaceri, in questo caso è più una punizione. Perché questo liquore fa talmente schifo che puoi solo berne un sorso e sputarlo subito dopo!". Clamorosi. Pausa, un pò di respiro.

Si riprende sullo stage principale. Ci sono i Battles. Gli avevo incrociati vicino al supermarket in mattinata. Son qui praticamente in vacanza. Quest'anno han tenuto pochi concerti, per divertimento, per svago e per provare qualche pezzo nuovo del disco in uscita l'anno prossimo. Il loro set è uno dei più attesi, "Mirrored" si rivela ancora uno dei migliori dischi degli ultimi anni visto quanto feedback positivo ricevono i pezzi da esso estratti. Soprattutto, inutile dirlo, "Tonto" e, ovviamente, "Atlas", quasi un inno generazionale. Dal materiale inedito che propongono, sembra che spingeranno forse ancora in chiave "catchy", con una maggior presenza della voce di Tyondai (debitamente modificata e filtrata, ovviamente) ma non rinunciando a qualche sperimentalismo. Del resto, mi è difficile pensare che Williams e Braxton possan rinunciare a suonar chitarra e tastiere contemporaneamente per far qualcosa di più "standard". Applauditissimi, molliamo il loro set a un quarto d'ora dalla fine per farci "pettinare" come si deve da King Buzzo e i suoi fratelli. I Melvins, inutile dirlo, ci seppelliranno tutti. Sempre potenti, compatti, assordanti, sempre un piacere permetter loro di maltrattare i nostri timpani. Altro grande set della giornata. Dopo tante botte, qualcosa di più tranquillo ci starebbe ma optiamo per un pausa allo chalet. Uscendo dal Pavilion, noto che ci passa di fianco Steve Albini. Decidiamo di seguirlo, fino al suo chalet. Me lo segno sulla mappa perché, cavolo, dovevo davvero dirgli quanto fosse grande. E quanto somigliasse al mio prof di elettromagnetismo. E se volesse venine a cena nel nostro chalet (purtrotppo non ci riuscirò, unico rimpianto del festival).

Decido che, avendo sostituito uno show dei Pixies con l'ATP (e non son pentito della scelta), voglio almento vedere e sentire per qualche minuto Kim Deal e le Breeders. Mi gusto 15 minuti di show con brani che, sinceramente, non vedrei bene neanche come b-sides dei Pixies. Ma, almeno, posso raccontare di aver avuto addosso, dalla stessa chiappona Deal, un pezzo della torta a forma di Pavilion con cui stavan festeggiando, subito dopo il loro set, il boss dell'ATP Barry Hogan per i 10 anni del festival! Incontro Patrycja al merch e becchiamo un Todd Trainer all'apparenza fattissimo, in realtà credo sia sempre così. Scambiamo qualche parola, qualche foto e, subito dopo, becchiamo, lui si ubriachissimo, Ian Williams. Che è più alto di quanto ricordassi (ma sempre più basso del mitico piatto del drumset di John Stanier) ed anche più disponibile (non ha fama di simpaticone, per quanto ne sapevo). Gli chiedo, appunto, se può insegnarmi a suonare chitarra e tastiere contemporanemante. "Certo. Ovviamente mi pagherai il doppio!" Anche con lui foto, due chiacchiere e poi ci fa Like we say in Pennysilvania: See you later, alligator". Like we say in Rome: Bella zì!. Oh, cool! Bella zì!.

In tarda serata, c'è attesa per i Beak>, nuovo progetto di Geoff Barrow dei Portishead. Ero molto curioso ma devo dire che mi è sembrata una versione un pò più "rockettara" degli stessi Portishead. E senza Beth Gibbons. Almeno, le trame di basso mi parevan già sentite. Insomma, non mi son parsi granché. Passabili, nulla più. Dal terzo palco al secondo in attesa dei For Carnation, band che il boss della Rough Trade aveva definito come la più sottovalutata tra quelle del rooster dell'etichetta. Ne capiamo in breve il perché. O meglio: no. Perché non so quanto bello possa essere per un musicista, prima che per un ascoltatore, suonare musica del genere: la batteria che dà un colpo ogni 30 secondi, la tastiera che fa una nota ogni 20, la chitarra idem. Eppure son piaciuti a molti. A me davvero no. A quell'ora mi son sembrati soporiferi. E detenevano il merch più brutto del festival. Anche se un genio uno è riuscito a comprarsi la loro t-shirt palesemente realizzata con Word (scritta "The For Carnation" in bianco su nero). A seguire, per chiudere la giornata, una band cui il tardo orario, invece, ben si adatta, soprattutto vista la loro figura plumbea e misteriosa, oserei dire: i Sunn O))) nel primo dei loro due show della rassegna, questo dedicato al loro primo lavoro "The GrimmRobe". Ne ho sentite e lette tante su di loro, era l'ora di provare quest'esperienza. Che, per certi versi, è stata davvero scioccante. Volumi esageratamente oltre il sopportabile per quello che sembrava, era un rito pagano più che un concerto. Pochissime note distillate di cui quello che importava era l'esplosione di vibrazioni sonore che ogni singola nota, debitamente iperamplficata, poteva generare (e da qui, come mi ha fatto notare Massimo, probabilmente, il significato della "O" seguita dalle parentesi chiuse nel nome: i fronti di un'onda sonora). Mi spiace ma dopo mezz'ora o poco meno, nonostante fazzoletti infilati nelle orecchie, non ho resistito. Uscendo, però, c'era un tappeto vero e proprio di ragazzi intenti ad ascoltare la performance. Mi son chiesto se fossero ubriachi o se avessero ragione loro, che magari uno show dei Sunn O))) andasse vissuto così.



data tre_13/12_ATP day 3:

Alzataccia terrificante dopo nottata trascorsa allegramente e si ricomincia nel segno degli Shellac, secondo set in due giorni, (molti) pezzi diversi, stessa grandezza, fantastica chiusura con una infuocata "The Crow". Prima del set, io e Patrycja incontriamo Juan Alderete che ci saluta con un abbraccio e, di fretta, va a lasciare il suo trolley dietro allo stage principale per godersi anche lui gli Shellac. Dopo lo show, incontreremo un addormentato Ikey, contento di aver assistito alla performance di Albini e soci, che, dopo averci illuminato sulla pronuncia della parola Tortoise, ci comunica che se ne andrà sul tour bus a dormire (ci dice che la band è arrivata a Minehead in primissima mattinata da Leeds). Io rimango al Pavillion Stage e mi godo la performance della Magic Band, i decani del festival. Si tratta della backing band di Don Van Vliet aka Captain Beefheart e già dal soundcheck si fanno suonare per la musica ricca di buone vibrazioni, tra blues, psichedelia e sperimentazione. Mi godo parte del loro set e poi via al Centre Stage per la sorpresa del festival, Josh T. Pearson. Aria a metà tra il santone e il rockettaro anni'70, capellone barbuto e pellicciamunito, si rende protagonista di una performance affascinante, cantando nenie decadenti, accompagnato da una psichedelicissima quanto potente chitarra, assieme a lui su palco solo un batterista. Decisamente sorprendente. Poi, la stanchezza per la nottata praticamente in bianco prende il sopravvento. Pausa. Saltati a malincuore i Deerhoof, non a malincuore Devendra Banhart e ai pur grandi Mudhoney, (personalmente già visti tre anni fa a Roma), una volta tornati in area festival, preferiamo gli Explosions In The Sky, texani che sul Pavillion Stage, praticamente, apriranno per altri texani di nostra conoscenza. Prima che inizino, faccio un salto il bagno. Fatta la fila, mi accingo ad entrare nel cesso appena liberatosi e mi accorgo che chi ci sta uscendo è Omar. Sorpreso, lo saluto, ricambia con una pacca (e non si era lavato ancora le mani...), un sorriso e pochissime parole, dicendomi che è in ritardo per la cena e che, un'ora dopo, ovviamente, sarebbe toccato a lui e ai suoi compari. Contento di tal incontro in sì strambo luogo (anche se un poco schifato), ritorno davanti al palco in tempo per l'inizio dello show degli EITS. Pur conoscendoli di nome, avevo ascoltato poco o nulla. Il tris di chitarre produce intrecci che definirei onirici e, seppur dopo un'ora ovviamente mi sembrino ripetitivi, son decisamente la prima band artefice di un certo post rock a non ammorbarmi completamente, ragion per cui darò loro ulteriori possibilità in futuro, a partire dai lavori in studio. Ma basta chiacchiere che tocca ai Mars Volta.

Guadagnamo la transenna tranquillamente e dopo mezz'ora di cambio palco, accompagnati dalla solita Fistful Of Dollars, i Nostri salgono sul palco, con Cedric che fa cadere il microfono di Omàr e quest'ultimo stoppa l'asta al volo. Un intro di tastiere ascoltato centinaia di volte negli ultimi sei anni introduce "Son Et Lumiere/Inertiatic Esp", inizio migliore non potrebbe esserci. La band mi pare in palla, Elitch mi pare davvero un erede più ordinato di Jon Theodere, come dice Massimo, e, seppur commetta qualche sbavatura, non mi sembra propriamente una scelta sbagliata, anzi. Il brano è accolto con un'ovazione, il pubblico canta e sono applausi. Dopo "Cotopaxi" (dove Cedric, pur in formissima, non manca di commettere le solite sbavature quando cerca di arrivare a certi acuti che, dal vivo, molto raramente gli riescono), c'è "L'Via" e qui Elitch manca qualche battuta (e lo farà anche a Londra). "Eriatarka" è forse il punto più alto dello show. Anche perché, subito dopo (e, col senno di poi, si capiranno le poche parole proferite da Cedric, Ehy!We're the Razorlight!) la magia comincia a svanire. "Goliath", pur trascinante, è rovinata da Elitch, a mio modesto avviso, ancora una volta, incapace di ambientarsi in un pezzo manifesto del drumming di Thomas Pridgen. Il brano risulta tagliato in alcune parti e rallentato in altre. Decisamente emendabile. E se "Since We've Been Wrong" emoziona (nonostante qualche errore di Henry Trejo, nascosto a lato palco, alla chitarra acustica), soprattutto grazie alla performance di Cedric, il pezzo che aspettavo, vale a dire "Cicatriz Esp" si rivela una mezza delusione, condita da una jam poco ficcante. Sarà stata impressione mia ma ho visto un'occhiata di Omàr che denotava noia e stanchezza. Il pubblico, tutto sommato, mi pare abbia apprezzato. Io, da quel punto in poi, ho solo avuto un impressione di freddezza, di voler fare il compito e amen. Inutile discutere sul resto della setlist, è passata lentamente, gelida, e mi ha lasciato poco o nulla. Dopo "Roulette Dares" tutti via, senza dir una parola, senza un saluto. Situazione che ho già vissuto. Se la gioca per il peggior show tra i 13 che ho visto. Peccato, forse erano alte le aspettative, forse non avevan capito che era un festival, anche se con orecchie prontissime ad ascoltarli, avevano la possibilità di stravincere, avendo un set di ben due ore, il più lungo del festival, e se ne son andati via con un pareggio a reti bianche. Ridicole, quasi, le parole postate da Cedric poche ore dopo sul suo Facebook. "Il pubblico era sedato, pareva un raduno di hipsters, forse mi serviva un diverso taglio di capelli, ci ho rinunciato dopo il quarto pezzo", roba del genere. A me parevano loro, i sedati.

Dopo il set dei TMV, complice un addetto che sventolava il cartello "Offerta! Birra a 2 sterline!" (Ne prendo cinque!), ci sediamo e facciamo conoscenza di alcuni italiani, si disquisisce del piccolo Duomo che ha colpito un piccolo uomo. E si aspetta l'ultimo desideratissimo act.
Dio, o chi per lui, benedica il tizio che ho in avatar e il suo omonimo socio per aver, loro si, dato una fine stradegna al festival. Tranne per il fatto di esser stati confinati sullo stage più piccolo (scelta, tuttavia, forse voluta dalla stessa band, abituata a suonare attorniata dalla gente), i Lightning Bolt hanno letteralmente incendiato il palco. E'valsa la pena far 20 minuti di fila al gelo per entrare e godersi il loro set. Tra l'altro, mentre eravamo in coda, ho urlato You rooock! a Bob Weston (Oh, yes I do, thanks!). Brian Gibson agghindato da albero di Natale, Chippendale solita grandiosa piovra dietro le pelli, tanti loro colleghi assiepati a lato palco (da lontano c'era una sagoma che pareva Marcel). Una performance enorme come solo uno show dei LB è! "Dracula Mountain" quasi un inno. E gran finale con le Afrirampo sul palco a cantare. O urlare. O provare a render un pò più intellegibili i vocalizzi di Chippendale. E stage diving. Un delirio, bissato a gran voce dopo l'insistente richiesta del pubblico non ancora soddisfatto. Quando son rientrati, non ho più resistito. Via giubbotto, via felpa e corsa sotto al palco per 5 minuti di vita, mai sudato così tanto in così poco tempo, mai goduto così della mancanza d'aria respirabile. Fantastico. L'altissimo e alticcio John Stanier mi si è parato davanti sconvolto urlando They-are-the-best!. Un pò paraculo, forse. Gli ho comunque urlato in faccia il nome della band appena esibitasi, mostrandogli orgoglioso la mia più bella maglietta brutta del duo di Providence. Note di chiusura su uno sbronzone che provava a chiavarsi un abete di plastica e su due amici che disquisivano su chi avesse meglio chiuso il festival tra Lightning Bolt e Polvo che si esibivano in contemporanea al Centre Stage.

Grande festival, in definitiva. Forse mancava un big big act ma come festeggiamento per i primi 10 anni è stato più che degnissimo. Un'unica delusione, magari. Ma tante soddisfazione. Que viva el ATP!

A breve resoconto dello show di Londra.

Edited by Kitt - 25/12/2009, 22:21
 
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Walkabout
CAT_IMG Posted on 30/12/2009, 02:50




mi spiace che cada un po' nel nulla perchè è un gran bel report, di quelli che te lo fanno vivere un pochino anche a te quel festival. Certo, vivere tanto quanto vedere il biglietto e il merchandising acquistato da chi torna e ti racconta, ma fa sempre piacere

attendiamo conferme/smentite dall'estremità occidentale del Ponte
 
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Inno Minato
CAT_IMG Posted on 30/12/2009, 10:50




ecco infatti, io affermo che quello che dice il mio compagno di viaggio è solo un'accozzaglia di bugie che cercheremo di dimostrare in appello.

mi dissocio...

no dico, di fronte a siffatto report c'è pure bisogno di farne uno io ?
 
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CAT_IMG Posted on 31/12/2009, 16:21

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mi fa piacere ti sia piaciuto, Fra. se il socio ha qualcosa da aggiungere, qualche episodio che ho scordato, è ben libero di farlo. ;)
 
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CAT_IMG Posted on 23/4/2010, 15:40

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http://stereogum.com/105621/10_years_of_at...-minehead-uk-2/

per non dimenticare.

e, soprattutto, per fustigarmi un pò, avendo scoperto (4 mesi e mezzo dopo!) che Johnny Marr era là, sul palco col Topo Modesto. E io non ne sapevo un cazzo.
 
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